75.

Per un colpo di fortuna la manifestazione di fanatismo religioso e il pazzesco tentativo da parte di Topiltzin per impadronirsi del potere non causarono un bagno di sangue. Non vi furono malintesi fatali.

L'unica vera tragedia fu quella delle giovani vittime affogate durante la prima traversata.

La folla scatenata passò fra le unità dell'Esercito e dilagò nelle vie di Roma verso Gongora Hill. Tutti avevano smesso di cantare e adesso urlavano slogan in lingua azteca che tutti gli americani e molti osservatori messicani non riuscivano a comprendere.

Topiltzin guidava il pellegrinaggio trionfale che saliva la collina. Aveva pianificato con molta cura il suo ruolo di liberatore. Il furto dei tesori dell'antico Egitto gli avrebbe dato l'influenza necessaria e la ricchezza per finanziare l'azione destinata a spodestare il partito del presidente De Lorenzo senza l'incomodo di elezioni regolari. Ancora quattrocento metri, e il Messico sarebbe caduto nelle mani della famiglia Capesterre.

Non gli era arrivata la notizia della morte del fratello. I suoi collaboratori avevano abbandonato il pullman delle comunicazioni nei momenti di maggior tensione, e non avevano ricevuto il messaggio urgente. Marciavano dietro Topiltzin, spinti dalla curiosità di vedere il tesoro.

Topiltzin stava ritto, avvolto in una veste bianca, con un mantello di pelli di giaguaro sulle spalle, e stringeva un'asta con l'emblema dell'aquila e del serpente. Una foresta di riflettori portatili illuminava la piattaforma e lo circonfondeva di un alone multicolore. Quella luce lo infastidiva; diede il segnale di girare sul pendio i fasci di alcuni riflettori.

A parte alcuni macchinali pesanti, il luogo degli scavi sembrava deserto. Non si vedeva nessuno dei genieri presso il cratere e il tunnel. Topiltzin si allarmò. Tese le mani perché la folla si fermasse.

L'ordine fu ripetuto attraverso gli altoparlanti, e finalmente l'orda si arrestò. Tutte le facce si volsero verso Topiltzin in attesa di un nuovo comando.

All'improvviso un grido straziante e acutissimo salì dalla vetta della collina, e crebbe fino a quando la gente fu costretta a tapparsi le orecchie con le mani.

Poi un mare di luci stroboscopiche lampeggiò sulla distesa di facce. Il bagliore di un'aurora boreale danzò nel cielo notturno. Tutti restarono immobili a guardare il fenomeno, affascinati.

La luce raggiunse un'intensità indescrivibile mentre l'urlo sferzava l'aria tutto intorno, con il timbro bizzarro della colonna sonora di un film di fantascienza.

Le luci e i suoni inquietanti continuarono in crescendo. Poi le luci stroboscopiche si spensero e il silenzio scese all'improvviso.

Per un intero minuto il suono continuò a echeggiare nelle orecchie di tutti e le luci lampeggiarono negli occhi. Poi una fonte luminosa invisibile rischiarò lentamente la figura solitaria di un uomo che stava in cima alla collina. L'effetto era sensazionale. I raggi scintillavano sugli oggetti metallici che la rivestivano.

Quando l'uomo divenne pienamente visibile, tutti videro che indossava la tenuta da combattimento di un antico legionario romano.

Aveva una tunica color rosso scuro e una corazza di ferro lucido. L'elmo e gli schinieri brillavano. Al fianco pendeva un gladio fissato a una tracolla di cuoio. Un braccio reggeva uno scudo ovale, l'altra mano stringeva un pilo.

Topiltzin lo guardò, incuriosito. Uno scherzo, una buffonata, una frode? Che cosa stavano tramando gli americani? L'orda immensa dei suoi seguaci taceva, intimorita, e guardava il romano come se fosse un fantasma. Poi si volse verso Topiltzin in attesa che il suo messia facesse la prima mossa.

Un bluff suggerito dalla disperazione, decise finalmente Capesterre. Gli americani stavano giocando l'ultima carta nella speranza di impedire ai suoi seguaci poverissimi e superstiziosi di avvicinarsi al tesoro.

«Può essere un trucco per rapirla e tenerla in ostaggio», disse uno dei suoi consiglieri.

Gli occhi di Topiltzin avevano un'espressione sprezzante. «Un trucco sì. Ma non per sequestrarmi. Gli americani sanno che la folla si inferocirebbe se venissi minacciato. È un trucco trasparente. A parte l'incaricato di cui ho rimandato la pelle a Washington, ho respinto tutte le proposte di Stato. Questa commedia è solo un goffo tentativo per arrivare a un negoziato. M'interesserebbe sapere che offerta hanno da mettere sul tavolo.»

Senza aggiungere altro e senza ascoltare gli avvertimenti dei consiglieri, ordinò di abbassare a terra la piattaforma, e scese. I riflettori rimasero puntati su di lui mentre saliva il pendio in arrogante solitudine. I piedi non spuntavano sotto l'orlo della veste, e lui sembrava muoversi aleggiando nell'aria.

Procedette a passo misurato, accarezzando la Colt Python .357 che portava alla cintura sotto la veste, per assicurarsi che non ci fosse la sicura. E continuò a tenere l'altra mano sulla bomba fumogena, nell'eventualità che si rendesse necessario usarla per una rapida fuga.

Si avvicinò fino a quando poté vedere chiaramente che l'uomo in costume da legionario romano era soltanto un manichino dal sorriso insipido e dagli occhi dipinti che guardavano nel vuoto. Le mani e la faccia di gesso erano scoloriti e graffiati.

Un'espressione incuriosita spuntò sul viso di Topiltzin mentre studiava il manichino.

Ma era diffidente. Sudava, e la veste bianca sembrava afflosciata.

Poi un uomo in stivali, jeans e maglione dolcevita bianco apparve nella luce dei riflettori uscendo da un gruppo di mesquitos. Aveva due occhi verdi e freddi come i ghiacci dell'Artico. Si fermò a fianco del manichino.

Topiltzin si sentiva in vantaggio. Non perse tempo. Parlò per primo, in inglese.

«Che cosa sperava di ottenere con il manichino e le luci?»

«La sua attenzione.»

«Complimenti. C'è riuscito. Adesso riferisca il messaggio del suo governo.»

Lo sconosciuto lo fissò per un lungo istante. «Nessuno le ha mai detto che il suo costume sembra un lenzuolo il giorno dopo una festa in toga improvvisata da una confraternita studentesca?»

Topiltzin si oscurò. «Il suo presidente sperava di insultarmi mandandomi un buffone?»

«A questo punto immagino di dover rispondere: 'Ci vuole un buffone per riconoscerne un altro'.»

«Ha un minuto per dire quel che ha da dire...» Topiltzin s'interruppe e fece un ampio gesto con la mano. «Poi ordinerò ai miei di riprendere la marcia.»

Pitt si voltò verso l'altro versante della collina e girò lo sguardo su chilometri e chilometri di campagna buia. «La marcia... per andar dove?»

Topiltzin lo ignorò. «Può incominciare con il suo nome, il titolo e la funzione nella burocrazia americana.»

«Il mio nome è Dirk Pitt. Il mio titolo è signor Pitt. La mia funzione è quella di contribuente, e lei può andare direttamente all'inferno.»

Gli occhi di Topiltzin lanciarono un lampo minaccioso. «Molti uomini sono morti di una morte orribile per aver mancato di rispetto a chi parla in nome degli dei.»

Pitt sorrise con la noncuranza del diavolo che si sente minacciare da un predicatore televisivo. «Se dobbiamo discutere, la pianti con questa retorica. Ha ingannato i poveri messicani con trucchi da palcoscenico e gli ha promesso un benessere che non potrà mai dargli. È un impostore dalla testa ai piedi. Quindi non si permetta di parlarmi così. Io non sono uno dei suoi fanatici e non mi lascio impressionare da un delinquente come Robert Capesterre.»

Capesterre aprì la bocca e la richiuse di scatto. Indietreggiò di un passo con un'espressione sorpresa. Non riusciva a credere alle proprie orecchie.

Trascorsero alcuni secondi mentre fissava Pitt. Finalmente parlò a voce bassa e rauca. «Che cosa sa?»

«Quanto basta», rispose Pitt con disinvoltura. «A Washington tutti parlano della famiglia Capesterre e dei suoi traffici loschi. Sono saltati i tappi di moltissime bottiglie di champagne, alla Casa Bianca, quando è arrivata la notizia che il suo caro fratello, quello che si spacciava per un profeta musulmano, è stato ucciso dal terrorista che aveva assoldato per sequestrare il Lady Flamborough e assassinare i passeggeri.»

«Mio fratello...» Capesterre non riuscì a pronunciare la parola «morto». «Non le credo.»

«Non lo sapeva?» chiese Pitt, un po' sorpreso.

«Ho parlato con lui meno di ventiquattr'ore fa», disse Topiltzin. «Paul... Akhmad Yazid è vivo e illeso.»

«Un cadavere ambulante non è una delle sue imitazioni più riuscite.»

«Che cosa spera di guadagnare il suo governo con queste menzogne?»

Pitt lo fissò con freddezza. «Mi fa piacere che abbia introdotto l'argomento. La nostra idea è salvare i tesori della Biblioteca di Alessandria, e non potremo riuscirci se lei sguinzaglierà i suoi fan nella caverna. Ruberanno tutto quello che pensano di poter vendere o barattare, e distruggeranno quello di cui non capiscono il valore, soprattutto i preziosissimi volumi.»

«Non entreranno», disse Capesterre in tono deciso.

«Crede di poterlo impedire?»

«I miei seguaci fanno ciò che gli ordino.»

«I volumi e le opere d'arte devono essere catalogati ed esaminati da archeologi e storici qualificati», disse Pitt. «Se vuol ottenere qualche concessione da Washington, deve garantire che la biblioteca sarà trattata come un progetto scientifico.»

Per un momento Capesterre scrutò Pitt. Poi si erse in tutta la sua statura.

Era dieci centimetri più basso del suo antagonista, e si dondolava come un cobra sul punto di attaccare. Parlò con voce profonda, atona e minacciosa. «Non sono tenuto a fornire garanzie, signor Pitt. Non ci saranno trattative per le concessioni. I vostri militari non sono stati capaci di respingere i miei al fiume. Ora io sono in vantaggio. I tesori egiziani sono miei. E saranno miei anche tutti gli Stati del sud-ovest.» Nei suoi occhi brillò un lampo di follia. «Mio fratello Paul dominerà l'Egitto. Un giorno il nostro fratello minore governerà il Brasile. Perciò io sono qui. E perciò lei è qui come difensore solitario di una superpotenza mondiale in un ultimo, patetico tentativo di negoziare. Ma al suo governo non resta più niente da negoziare. E se qualcuno tenterà di impedire che il tesoro venga portato in Messico, ordinerò che venga distrutto e bruciato.»

«Devo riconoscere una cosa, Capesterre», borbottò disgustato Pitt. «Lei pensa alla grande. È un peccato che sia ancora in libertà; starebbe bene a fare il quarto Napoleone in una partita a poker in manicomio.»

Gli occhi di Capesterre tradirono l'irritazione. «Addio, signor Pitt. La mia pazienza ha un limite. Sarà un piacere sacrificarla agli dei e mandare la sua pelle alla Casa Bianca.»

«Mi dispiace molto di non avere tatuaggi decorativi.»

Capesterre era esasperato dall'indifferenza di Pitt. Nessuno gli aveva mai parlato in quel tono sprezzante. Si voltò e alzò una mano verso la folla.

«Non crede che dovrebbe inventariare la sua nuova ricchezza prima di consegnarla a quella marmaglia?» chiese Pitt. «Pensi a come la giudicherà il mondo se permetterà ai suoi schiavetti di distruggere la bara d'oro di Alessandro il Grande.»

Capesterre riabbassò la mano e avvampò. «Che cosa sta dicendo? La bara di Alessandro esiste veramente?»

«Sì, e anche la sua mummia.» Pitt indicò il tunnel. «Vuol fare una visita prima di spalancare il deposito al suo pubblico adorante?»

Capesterre annuì. Continuò a voltare le spalle alla folla, e tenne nascosta la Colt sotto il drappeggio di una manica. Con l'altra mano stringeva la bomba fumogena. «Alla prima mossa fatta da lei o da qualcuno nascosto nel tunnel, le spezzo in due la spina dorsale.»

«Perché dovrei cercare di farle del male?» chiese Pitt in tono d'ironica innocenza.

«Dove sono i genieri che lavoravano agli scavi?»

«Tutti quelli che erano in grado di usare un fucile sono stati mandati alla linea difensiva lungo il fiume.»

Capesterre sembrava convinto. «Sollevi il maglione e abbassi i pantaloni sotto gli stivali.»

«Di fronte a tutta questa gente?» chiese Pitt con un sorriso.

«Voglio vedere se è armato o ha addosso un microfono nascosto.»

Pitt sollevò il maglione e abbassò i blue jeans. Non c'era traccia di trasmittenti o di armi nascoste. «Soddisfatto?»

Topiltzin annuì. Indicò l'ingresso del pozzo con la pistola. «Mi preceda.»

«Le dispiace se porto dentro il manichino? Le sue armi sono veramente antiche.»

«Può lasciarle appena oltre l'entrata.» Poi Capesterre si voltò e fece un cenno ai suoi collaboratori per indicare che non c'erano pericoli.

Pitt si rassettò, prese le armi del manichino ed entrò nel pozzo.

La volta era abbastanza bassa perché Pitt fosse costretto a chinarsi per passare sotto le travi di sostegno. Posò la lancia e la spada, ma tenne lo scudo e lo mise sopra la testa per proteggersi dai frammenti di roccia che potevano cadere.

Topiltzin non protestò. Sapeva che lo scudo era inutile quanto un foglio di carta contro una pistola .357 magnum.

Il pozzo scendeva ripido per dodici metri, poi diventava pianeggiante.

Era illuminato da una fila di lampade appese alle travi. I genieri avevano spianato in modo quasi perfetto le pareti e il pavimento, e non era difficile procedere. L'unico disagio era causato dall'aria soffocante e dalla polvere che si sollevava vorticosamente sotto i loro passi.

«Riceve il suono e le immagini, signor presidente?» chiese il generale Chandler.

«Sì, generale», rispose il presidente. «Le voci arrivano chiare; ma sono usciti dalla portata della telecamera quando sono entrati nel tunnel.»

«Li inquadreremo di nuovo nella camera della bara, dove abbiamo un'altra telecamera nascosta.»

«Dov'è il microfono di Pitt?» chiese Martin Brogan.

«Il microfono e la trasmittente sono inseriti nella saldatura anteriore del vecchio scudo.»

«È armato?»

«Pensiamo di no.»

Tutti i presenti nella Situation Room tacquero e guardarono un secondo monitor che mostrava la camera scavata nelle viscere di Gongora Hill.

La telecamera inquadrava un feretro d'oro al centro del vano.

Ma non tutti gli occhi erano rivolti al secondo monitor. Qualcuno non li aveva staccati dal primo.

«Quello chi è?» chiese Nichols.

Brogan socchiuse le palpebre. «Sarebbe a dire?»

Nichols indicò il monitor della telecamera che continuava a inquadrare l'ingresso sotterraneo della collina. «Un'ombra è passata davanti all'obiettivo ed è entrata nel tunnel.»

«Io non ho visto niente», disse il generale Metcalf.

«Neppure io», confermò il presidente. Si tese verso il microfono che stava sul tavolo davanti a lui. «Generale Chandler?»

«Sì, signor presidente?» rispose il generale.

«Dale Nichols giura di aver visto qualcuno entrare nel tunnel dopo Pitt e Topiltzin.»

«Anche uno dei miei aiutanti ha avuto l'impressione di vedere qualcuno.»

«Allora non ho le allucinazioni», sospirò Nichols.

«Ha idea di chi potrebbe essere?»

«Chiunque sia», disse Chandler con un'espressione allarmata, «non è uno dei nostri.»

Tesoro
titlepage.xhtml
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_000.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_001.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_002.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_003.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_004.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_005.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_006.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_007.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_008.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_009.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_010.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_011.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_012.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_013.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_014.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_015.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_016.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_017.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_018.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_019.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_020.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_021.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_022.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_023.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_024.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_025.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_026.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_027.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_028.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_029.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_030.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_031.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_032.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_033.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_034.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_035.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_036.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_037.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_038.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_039.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_040.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_041.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_042.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_043.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_044.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_045.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_046.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_047.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_048.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_049.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_050.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_051.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_052.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_053.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_054.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_055.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_056.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_057.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_058.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_059.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_060.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_061.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_062.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_063.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_064.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_065.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_066.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_067.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_068.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_069.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_070.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_071.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_072.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_073.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_074.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_075.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_076.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_077.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_078.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_079.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_080.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_081.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_082.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_083.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_084.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_085.htm
Clive Cussler (1988) - Tesoro_split_086.htm